Il giuramento

Formalmente voluto dalla legge 23 dicembre 1946, n. 478, il giuramento costituiva l’ atto formale con cui l’ allievo modificava la sostanza del proprio stato integrandosi con pienezza nell’ appartenenza militare e sussumendo nel semplice gesto di un braccio levato al cielo, liberamente e consapevolmente, tutti i complessi doveri relativi alla specifica condizione.

 

Nonostante l’ affinità coreografica a molte altre cerimonie già celebrate nel solenne scenario del cortile d’ onore, quella del giuramento era attesa dagli allievi con profondità di sentimento del tutto diversa proprio per il suo significato morale e la sua valenza giuridica. Molti ritenevano che protrarne la celebrazione così avanti nell’ anno facesse sembrare indefinito lo status dell’ allievo nei mesi precedenti, quasi che l’ indossare le stellette sul bavero tutto per quel tempo senza una sanzione formale della condizione militare fosse contraddittorio. Ci si rese poi conto, invece, che quel lungo periodo di adattamento era opportuno per far maturare la vocazione, plasmare il carattere, adeguare i comportamenti, assorbire le nuove abitudini ed assimilarle nell’ ordinaria quotidianità: in sintesi, per sostenere una quantità di giovanottelli di belle speranze nella loro maturazione ed instradarli nell’ evoluzione verso le future responsabilità.

 

Dopo le inevitabili prove, replicate come d’ uso fino alla noia e frazionate nella ripetizione puntigliosa di ogni singolo gesto e movimento, venne il fatidico mattino. Per la prima volta nell’ esperienza dei cappelloni, l’ apparato del cortile d’ onore non si limitava alla scenografia del reggimento allievi schierato e delle autorità distribuite secondo il rango nella tribuna di rimpetto ma era impreziosito dalla ben più importante presenza dei familiari, delle fidanzate e degli amici assiepati sul loggiato.

Prima dell’ inizio della cerimonia, il brusio degli ospiti lassù e quello degli allievi pronti nel cortile Giulio Cesare si facevano eco a vicenda. Gli Ufficiali di inquadramento, inconsueti nelle loro uniformi storiche così simili alle nostre e così diverse per la quantità di ornamenti del grado, si aggiravano fra gli allievi sorridendo, richiamando, raccomandando, stemperando la tensione con qualche battuta qua e là.

 

Poi, la tromba dell’ adunata, il veloce afflusso in cortile accompagnato solo dallo scalpiccio di centinaia di scarpe col tacchetto metallico, la subitanea immobilità di uno schieramento perfetto, la sequenza degli ordini riecheggiati dalle volte del colonnato ed intervallati dai segnali di tromba, fino alla declamazione della formula:

 

’GIURO DI ESSERE FEDELE ALLA REPUBBLICA ITALIANA E AL SUO CAPO, DI OSSERVARE LEALMENTE LE LEGGI E DI ADEMPIERE TUTTI I DOVERI DEL MIO STATO AL SOLO SCOPO DEL BENE DELLA PATRIA.

ALLIEVI DEL 149° CORSO, LO GIURATE VOI?’

 

All’ unisono, il tuono del ’’LO GIURO!’’ fu la risposta sgorgata dai nostri petti, subito seguita dalle note dell’ inno nazionale che si mescolavano all’ applauso dei familiari ed al nostro stesso batticuore.

Ampollosa retorica? Forse lo è per qualcuno, che avrà pure i suoi rispettabili motivi. Per noi era, e tuttora è, lo stigma della condizione che avevamo scelto, che abbiamo cercato di onorare negli anni e che da quel momento continuiamo a sentire irrevocabilmente nostra.

 

ultimo aggiornamento:13/03/2008 18.39 by PdeW