Varici
Che l’ Accademia
fosse un’ Istituto depositario di tradizioni secolari e
tetragono agli attentati da parte di frivole idee innovatrici
era facile da immaginare ancora prima di varcarne il portone.
Onestamente, non poteva (né, c’ è da crederlo, può tuttora)
essere altrimenti, data la sua funzione di custode di una
continuità pedagogica essenziale ad assicurare ortodossia di
pensiero ed affinità di comportamenti nell’ ambito della forza
armata in cui operano e devono intendersi Ufficiali la cui
differenza di età supera anche i quarant’ anni.
Per di più, la
conservazione di modelli di comportamento consolidati
costituisce una sorta di nicchia in cui la specificità di un
certo gruppo si forma e si alimenta, attraverso la condivisione
del valore conferito a convinzioni, atteggiamenti e riti che
spesso risultano incomprensibili agli estranei ma sono
fondamentali per gli adepti. In breve, il rigetto automatico di
qualunque subdolo tentativo di destabilizzazione è un connotato
caratteristico e fortemente congeniale a tutti i sistemi di
questo tipo.
Già la soggezione
che gli stessi Palazzi mettevano in noi con il loro architettura
maestosa, la solennità dei loggiati e dei porticati, l’ aria
austera e sacrale tipica degli ex-conventi (un certo pertugio
dalle parti del giardino Montecuccoli aveva permesso a ’’Quelli’’,
menzionati altrove, di rendere ogni tanto visita al sotterraneo
e maleodorante cimitero delle suore) in qualche modo sembrava
arrestare il tempo e, con esso, le insidie che accompagnano
pericolosamente il suo progredire.
Si potrebbe
osservare che l’ intento conservatore, soprattutto se esercitato
dai più anziani che detengono l’ autorità in quanto tali, può
costituire una remora all’ ammodernamento del pensiero e dei
costumi. Questo, si è già detto, è il carattere ricorrente ed
inevitabile di tutte le istituzioni fortemente gerarchiche ed
autoselettive (quelle religiose ne sono un altro esempio) ed
occorre che le loro dirigenze siano disposte all’ umiltà ed
aperte all’ ascolto per poter accettare il concetto che novità
non è per forza sinonimo di apostasia. Ma la natura umana è
fallace e né i giovani da un lato sanno sempre contemperare le
loro istanze con le esigenze concomitanti della comunità vasta e
complessa di cui sono appena entrati a far parte né le loro
apparenti controparti sanno sempre cogliere gli spunti che, al
basso costo di qualche cedimento, potrebbero dare risultati
dinamici e produttivi su vasta scala.
In questo quadro,
torna alle labbra la domanda che ci siamo posti per due lunghi
anni: ma sarà davvero necessario che un cadetto, per poter
raggiungere il traguardo a cui ambisce, debba subire la tortura
delle giarrettiere che già malvolentieri usavano i suoi
(bis)nonni e sia condannato alle varici, anziché poter indossare
le più semplici calze lunghe diffuse in tutta la restante e
moderna umanità? |