Passo dopo passo

 

Progressivamente assorbito durante tutto il primo anno, l’ adattamento al nuovo sistema di vita così estraneo alla gran parte degli allievi era stato praticamente completato ed, alla ripresa dopo la licenza estiva, il quadro delle tante esperienze vissute appariva compatto e congruente.

Da cappelloni, molti degli episodi in cui il processo si era articolato erano stati spesso causa di disagio, turbamento, contrarietà, insicurezza, tentennamento ed anche ribellione ma fu solo da anziani che se ne compresero il senso e la portata. Infatti, in un anno era stata raggiunta una rilevante evoluzione del carattere ma l’ averla costruita un po’ alla volta lungo infiniti giorni tutti apparentemente uguali non aveva consentito di assaporare la progressione.

 

Dopo che gli anziani del 23° corso erano migrati nel limbo delle Scuole di Applicazione, il 24° era subentrato nel loro ruolo e lo stato d’ animo dominante consisteva in una sorta di indistinto autocompiacimento. Tuttavia, questa ’’promozione’’ di fatto si svelò nella sua piena essenza solo quando giunsero in accademia gli aspiranti del 150°.

A parte la banale curiosità, due furono le sensazioni che colsero abbastanza di sorpresa in quel momento i neo-anziani. La prima era il misto di tenerezza e distacco verso gli aspiranti evocato dal loro palese ed affannoso smarrimento (soprattutto nei primi difficili giorni) nonostante la tenacia con cui tentavano di adattarsi alla situazione. La seconda, più sorprendente, fu l’ apprezzamento di sé mediato dall’ aperto confronto con i nuovi allievi, così lontanamente giovani nonostante l’ età quasi uguale.

Ci si rivedeva in loro, con la prospettiva schiacciata dalla distanza di un anno,

 alle prese con le uniformi odorose di naftalina, le scarpe nuove e dure come sassi, i baschi simili a dischi volanti in barba ad ogni accorgimento contrario, le camicie marroni puzzolenti al minino accenno di sudore anche se indossate fresche di bucato, il ’’due pizzi’’ perennemente in bilico sulla sommità di crani quasi pelati, i gambali dolorosi come stivaletti cinesi appena il polpaccio iniziava a gonfiarsi, il preistorico costume da bagno di lana e la sua foggia mortificante, tutte quelle interminabili scale (che, dovunque conducessero, sembravano essere sempre in salita), i corridoi lungo i quali persino l’ incontro con l’ innocuo Maresciallo fotografo sembrava potenzialmente insidioso e così di seguito.

 

Tornava il ricordo del primo ’’corridoio’’ fra due minacciose ali di anziani, schierati fra il loggiato ed il Ponte dei Sospiri, che urlavano come ossessi e menavano colpi di basco pervasi da ferocia sanguinaria (o così sera sembrato).

 

Si rammentava il volto dei propri Qualificati di inquadramento, così austeri ed inavvicinabili da far pensare che non da un anno di accademia fossero venuti ma da un altro pianeta.

 

Poi, le infinite presentazioni con voce che non era mai abbastanza stentorea, le interminabili e tormentose domande sui nomi dei superiori, sulle armi e le specialità, sulle mostrine dei reparti, sull’ ubicazione della Stelletta dell’ Anziano, su quanto tempo occorresse per andare dalla mensa al circolo passando sul loggiato (la risposta voluta era ’’un anno’’, non certo la più ovvia manciata di secondi) ed anche - è umano - su qualunque idiozia che consentisse ad un anziano semplicemente frustrato di mistificare la propria pochezza ergendosi come un dio in terra.

 

Molti angoli dei palazzi riportavano alla mente centinaia di piegamenti inflitti per i più svariati motivi e prezzo, anch’ essi, della propria crescita e lo stesso può essere detto dell’ incursione, narrata altrove.

 

Solo dopo il loro Makπ, gli anziani avevano concesso di passare del ’’lei’’ al ’’tu’’ ma il tratto rispettoso naturalmente dovuto loro non era cambiato gran che. Al momento era parso che si trattasse di una munifica elargizione dovuta più alla loro stanchezza dopo i mesi trascorsi nel tenere a distanza i cappelloni; in realtà, solo col tempo fu chiaro che non si trattava di un avvicinamento degli anziani ai cappelloni ma del contrario, segno di riconoscimento del fatto che anche gli allievi più giovani avevano già fatto sufficiente strada.

 

All’ inizio del secondo anno, la metamorfosi da cappelloni ad anziani induceva a chiedersi se tutti quelle prove fossero architettate da un preciso regista oppure si fossero replicate con l’ automatismo e l’ avallo di solide tradizioni; comunque, si intuiva che col tempo anche quegli spunti educativi, paralleli a quelli istituzionali, si sarebbero rivelati funzionali a preparare i futuri quadri all’ esercizio di una complessa professione. E, da oggetti, ci si sentiva proiettati verso la dimensione di soggetti del processo.

 

Allora, il ricordo delle apparenti sopraffazioni ed umiliazioni provate a suo tempo e percepite talvolta come gratuite angherie ora recuperava il più vero e sottile significato iniziatico, rivelando la sua valenza di ’’esame’’ da parte degli anziani (protagonisti complementari, seppure ufficiosi, della formazione) e di progressiva omologazione nella Famiglia militare dei più giovani in funzione dei progressi che essi compivano via via.

 

Se dopo quarant’ anni il ricordo resiste limpido ed è pure scevro da rancore, tutto questo a qualcosa dev’ essere servito. Al di là di semplici curiosità e nostalgia, chiedersi se gli stessi rituali si ripetano ancora oggi non ha molto senso. E’ probabile che essi, negli anni, abbiano assunto forme diverse ma di certo l’ istituzione nella sua interezza (dall’ asettico e  remoto vertice al più truce degli anziani di oggi) abbia saputo dotarsi di strumenti adeguati ai tempi ma comunque fondamentali per la formazione di chi ha imboccato il lungo percorso al cui tracciato anche noi abbiamo dato un contributo.

 

ultimo aggiornamento:15/03/2008 14.42 by PdeW