alle
prese con le uniformi odorose di naftalina, le scarpe nuove
e dure come sassi, i baschi simili a dischi volanti in barba
ad ogni accorgimento contrario, le camicie marroni
puzzolenti al minino accenno di sudore anche se indossate
fresche di bucato, il ’’due pizzi’’ perennemente in bilico
sulla sommità di crani quasi pelati, i gambali dolorosi come
stivaletti cinesi appena il polpaccio iniziava a gonfiarsi,
il preistorico costume da bagno di lana e la sua foggia
mortificante, tutte quelle interminabili scale (che,
dovunque conducessero, sembravano essere sempre in salita),
i corridoi lungo i quali persino l’ incontro con l’ innocuo
Maresciallo fotografo sembrava potenzialmente insidioso e
così di seguito.
Tornava il
ricordo del primo ’’corridoio’’ fra due minacciose ali di
anziani, schierati fra il loggiato ed il Ponte dei Sospiri,
che urlavano come ossessi e menavano colpi di basco pervasi
da ferocia sanguinaria (o così sera sembrato).
Si rammentava
il volto dei propri Qualificati di inquadramento, così
austeri ed inavvicinabili da far pensare che non da un anno
di accademia fossero venuti ma da un altro pianeta.
Poi, le
infinite presentazioni con voce che non era mai abbastanza
stentorea, le interminabili e tormentose domande sui nomi
dei superiori, sulle armi e le specialità, sulle mostrine
dei reparti, sull’ ubicazione della Stelletta dell’ Anziano,
su quanto tempo occorresse per andare dalla mensa al circolo
passando sul loggiato (la risposta voluta era ’’un anno’’,
non certo la più ovvia manciata di secondi) ed anche - è
umano - su qualunque idiozia che consentisse ad un anziano
semplicemente frustrato di mistificare la propria pochezza
ergendosi come un dio in terra.
Molti angoli
dei palazzi riportavano alla mente centinaia di piegamenti
inflitti per i più svariati motivi e prezzo, anch’ essi,
della propria crescita e lo stesso può essere detto dell’
incursione, narrata altrove.
Solo dopo il
loro Makπ, gli anziani avevano concesso di passare del ’’lei’’
al ’’tu’’ ma il tratto rispettoso naturalmente dovuto loro
non era cambiato gran che. Al momento era parso che si
trattasse di una munifica elargizione dovuta più alla loro
stanchezza dopo i mesi trascorsi nel tenere a distanza i
cappelloni; in realtà, solo col tempo fu chiaro che non si
trattava di un avvicinamento degli anziani ai cappelloni ma
del contrario, segno di riconoscimento del fatto che anche
gli allievi più giovani avevano già fatto sufficiente
strada.
All’ inizio del
secondo anno, la metamorfosi da cappelloni ad anziani
induceva a chiedersi se tutti quelle prove fossero
architettate da un preciso regista oppure si fossero
replicate con l’ automatismo e l’ avallo di solide
tradizioni; comunque, si intuiva che col tempo anche quegli
spunti educativi, paralleli a quelli istituzionali, si
sarebbero rivelati funzionali a preparare i futuri quadri
all’ esercizio di una complessa professione. E, da oggetti,
ci si sentiva proiettati verso la dimensione di soggetti del
processo.
Allora, il
ricordo delle apparenti sopraffazioni ed umiliazioni provate
a suo tempo e percepite talvolta come gratuite angherie ora
recuperava il più vero e sottile significato iniziatico,
rivelando la sua valenza di ’’esame’’ da parte degli anziani
(protagonisti complementari, seppure ufficiosi, della
formazione) e di progressiva omologazione nella Famiglia
militare dei più giovani in funzione dei progressi che essi
compivano via via.
Se dopo
quarant’ anni il ricordo resiste limpido ed è pure scevro da
rancore, tutto questo a qualcosa dev’ essere servito. Al di
là di semplici curiosità e nostalgia, chiedersi se gli
stessi rituali si ripetano ancora oggi non ha molto senso.
E’ probabile che essi, negli anni, abbiano assunto forme
diverse ma di certo l’ istituzione nella sua interezza
(dall’ asettico e remoto vertice al più truce degli anziani
di oggi) abbia saputo dotarsi di strumenti adeguati ai tempi
ma comunque fondamentali per la formazione di chi ha
imboccato il lungo percorso al cui tracciato anche noi
abbiamo dato un contributo.
ultimo aggiornamento:15/03/2008 14.42
by PdeW
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