Il panino
La pausa di metà mattina era uno dei momenti più attesi della giornata. l famelici allievi si precipitavano a rotta di collo verso il circolo dove - immutabilmente come è naturale in un istituto depositario di tradizioni secolari - ogni giorno le ceste con i panini attendevano l’ assalto dell’ orda.
I contenitori, uno per compagnia, troneggiavano lungo i lati della grande sala e l’ inebriante fragranza del pane fresco e della mortadella deliziava l’ olfatto. Tuttavia, la già felice opportunità di placare lo stomaco (a quell’ ora la prima colazione era solo un ricordo vago e remoto) diventava addirittura sublime in due precise circostanze.
La prima si verificava quando l’ intervallo cadeva tra due periodi in aula anziché a ridosso delle lezioni di nuoto, equitazione o ginnastica che invece richiedevano cambi di uniforme e trasferimenti poco compatibili con il breve tempo disponibile. Riuscire a mangiare il panino con studiata lentezza (integrandolo, perché no, anche con qualche ’’diplomatico’’ da due etti) apriva l’ animo alla migliore disposizione.
La seconda circostanza avveniva quando una intera compagnia, trattenuta altrove, mancava l’ appuntamento col ristoro. L’attesa dei più fortunati ed in parte sazi colleghi era fremente e nel loro sguardo si leggeva la domanda: ’’riusciranno i ritardatari ad arrivare in tempo oppure questo ben di Dio resterà abbandonato qui?’’ Finché, calcolando con cura il tempo minimo necessario per arrivare all’ aula della lezione successiva un attimo prima del ’’pompa’’, i più voraci riuscivano ad arraffare ancora qualche panino ed a ficcarselo in un sudicia e sudaticcia tasca (naturalmente senza incarto: diversamente, a cosa sarebbero mai servite le vaccinazioni TAB-TE?) per divorarlo poi nella prima occasione utile.