O bere, o
annegare.
La vita in
accademia, così come se la può figurare chi non l’abbia provata,
molto probabilmente è piena di immagini fantasiose relative ad
attività corrusche, atteggiamenti marziali, disciplina ottusa,
retorica stantia e costrizioni anacronistiche. Chi ha invece ha
trascorso nei Palazzi svariate centinaia di giorni non solo
rifugge da queste trite convenzioni ma sa anche riconoscere, con
sottile compiacimento, i valori realmente profondi ma anche
certe altre situazioni ancora più grottesche di quelle volute
dai luoghi comuni.
Fra queste,
un posto d’onore spetta agli avvenimenti presso la mensa. Già la
sua architettura aveva inizialmente stupito per solennità ed
eleganza ed anche aveva colpito l’organizzazione con cui uno
stuolo di cuochi e famigli - sotto l’attenta guida di un rubizzo
Capitano - riusciva ad assicurare i pasti a centinaia di
affamati avventori. Ma, in breve tempo, ci si rese conto che
c’era dell’altro ed (in piena armonia con la funzione globale
dell’Istituto) anche questo costituiva una sfida per gli allievi |
|
Il primo
aspetto riguardava la grande abilità richiesta a ciascuno nel
trovare un gancio libero per deporre copricapo e cartella su uno
dei tanti appendiabiti ed anche la notevole memoria necessaria
per ricordarne le coordinate alla fine. Altra forca caudina era
rappresentata dai pochi telefoni a gettone nel giardino
d’inverno, quasi sempre occupati dagli anziani (favoriti dal
transito sul loggiato) che, anche bruscamente, |
precludevano
ai cappelloni ogni speranza di sviluppare le proprie relazioni
sociali già così scarne e poco promettenti.
Proprio nel
giardino d’inverno avvenne un episodio che costò all’autore una
sonora punizione. Si ricorderà che sulla parete di rimpetto
all’ingresso della sala mensa faceva mostra di sé un gruppo
bronzeo, dono del 23° Corso in occasione del Mak π. Delle due
figure che lo componevano, una era un popolano (emblema delle
genti del Paese) e l’altra rappresentava un combattente con un
cappello da bersagliere (simbolo dei moti da cui l’unità della
Nazione aveva preso le mosse) mentre brandiva un vessillo
nazionale con una mano e protendeva l’altra come ad indicare il
cammino verso un fulgido avvenire. Forse, lo scultore non si era
reso conto dell’insidia insita nel modellare distese ed aperte
le dita della mano protesa ma il dettaglio non era sfuggito ad
un allievo che, dovendo liberarsi della sigaretta che stava
fumando in fretta prima della chiamata a tavola, anziché
spegnerla in un posacenere la infilò fra del dita del
bersagliere. E lì essa rimase, consumandosi in un filo
azzurrino, fino a quando un Ufficiale di servizio non la notò
ed, identificato il responsabile, lo deferì senza pietà al
Braccio Secolare.Ben diversamente dai sistematici pranzi
ufficiali a base di vol-au-vent alla finanziera, cappelletti in
brodo, cotoletta alla milanese con patate arrosto e torta Saint
Honoré, il tedioso menu dei pasti ordinari - ugualmente
sistematico - |
|
|
prevedeva spesso un misterioso spezzatino, certi
würstel grandi come matterelli e l’ineffabile ’’Provoletta’’
della domenica sera. In particolare quest’ultima metteva a dura
prova il malcapitato occasionale che, sotto lo sguardo severo
del Qualificato capo-tavola e quello trepidante dei colleghi,
doveva suddividerla in dieci porzioni esattamente uguali ma
inesorabilmente sottili. Non pago del divieto di incrociare i
piedi sotto il tavolo ed altri ancora, il Moloc aveva anche
previsto che il futuro Ufficiale dovesse saper sbucciare ogni
frutto (esclusi, bontà sua, quelli con guscio legnoso)usando
coltello e forchetta. |
I pochissimi
ex-rampolli di casate patrizie sapevano già cavarsela ma la
massa, di estrazione borghese o più modesta ancora, si trovava
in serie difficoltà. A poco serviva temporeggiare in attesa del
’’ritti’’ ed aggirare l’insidia: il solito Qualificato
capo-tavola, implacabile, apostrofava il vile e gli ingiungeva
di applicarsi all’esercizio. Le cronache sono piene di arance e
mele ruzzolanti da un capo all’altro della mensa e di frutti
massacrati fino a diventare una immangiabile poltiglia.
Ma, anche di
questo, resta il ricordo ed il sorriso che lo accompagna.
|
|
Dopo quarant'anni, anche i posacenere sono
gli stessi di allora
|
|
Le orecchie
Era risaputo che la Meccanica
Razionale (e le altre discipline molto specifiche ed
equivalenti per nobiltà, nel caso degli Allievi
non-VVAA) fosse lo strumento indispensabile per
affrontare un futuro vincente nei ranghi delle Unità
e dei Comandi. Chi non ha sussultato di gioia nel
giovarsene a profusione in tutti gli anni seguenti?
Basti pensare ai campi in montagna sotto la pioggia,
alle angustie dello scarsissimo materiale di pulizia
disponibile, alla riottosità di quel certo soldato
od alla incombenza di un superiore isterico, tutte
circostanze - e molte altre - in cui il livello
universitario degli studi compiuti mostrava la sua
preziosa potenzialità.
Vent’ anni più tardi, a Civitavecchia,
la cattedra di Logistica svelò il resto del mistero
a lettere ancora più chiare: “Prevedere gli
Imprevisti”. Tuttavia, molto tempo prima, Mamma
Accademia aveva saputo preparare i suoi Figli ad
ogni evenienza e si era spinta ben oltre i tormenti,
pur ristretti, degli studi. Per esempio, aveva
sagacemente immaginato che prima o poi un Ufficiale
potesse sedere al desco di una fra le poche residue
Case Regnanti; guai se egli non fosse stato in grado
di cavarsela con il vasellame più misterioso e la
posateria più indecifrabile! Quindi, con illuminata
lungimiranza, l’ Istituto aveva disposto che gli
allievi si esercitassero periodicamente con un
brodino (pomposamente definito “consommè” nella
circostanza) servito nella specifica, molto
elegante, scodella con due manici simili ad
orecchie. Naturalmente, l’ inclinazione del busto
(tendente a zero), l’ aderenza dei gomiti ai fianchi
(tendente all’ infinito) ed la leggiadria nel
sorbire la delizia (senza alcun sibilo) erano
doverosamente codificati e comunque soggetti all’
implacabile giudizio del qualificato capo-tavola. |
|
ultimo aggiornamento:12/03/2008 13.52
by PdeW |