La nebbia

L’ allievo imparava presto che il più breve intervallo di tempo misurabile era quello compreso fra i primi sfrigolii del disco della sveglia e l’ arrivo dell’ Ufficiale di servizio. Ben intenzionato ad educare  gli allievi anche in quel delicatissimo momento della loro vita negli austeri palazzi, egli apriva la porta, irrompeva con decisione, incedeva marziale attraverso le camerate fino ai bagni, sbraitava ’’Aprire le finestre!’’ e puniva chi stava poltrendo a letto ancora per una colpevole manciata di secondi.

La faccenda, poi, era ancora più seria nelle mattine invernali, quando la tipica nebbia modenese rotolava in camerata fitta, untuosa e maleodorante come burro rancido. Vuole una leggenda che l’ allievo addetto ad una finestra, dopo averla aperta ed essere stato subito inghiottito dalla nuvolaglia, fosse rinvenuto dai compagni - rinsecchito come Oetzi - solo nei primi giorni di primavera.

Un altro episodio (questa volta, verissimo) riguarda un altro collega ed il suo comandante di plotone. Quest’ ultimo era un vero aguzzino nei confronti di tutti (per questo fu ripagato con i peggiori epiteti ed anche con l’ abbattimento della tenda al campo nel pieno del sonno, salvo vendicarsi subito con una seduta notturna di addestramento al combattimento sotto la pioggia), ma aveva una predilezione spiccata per il citato collega. Una sera d’ inverno la loro compagnia rientrava da Sassuolo dopo le lezioni di tiro ed il comandante di plotone aveva già punito una sfilza di sventurati, chi per non aver indossato a puntino l’ uniforme di panno - cravatta compresa - sotto la tuta mimetica, chi per non aver eseguito il passo del leopardo con la prescritta flessuosità, chi per aver allacciato gli anfibi secondo una

geometria eterodossa delle stringhe e così via. L’ allievo in questione - già abbondantemente punito - era stato destinato a viaggiare in cabina col busto fuori dalla botola dell’ ACM, brandeggiando l’ MG sul tettuccio per difendere i compagni da una imboscata nemica estremamente probabile.  

Non appena l’ autocolonna si lasciò alle spalle il Palazzo Ducale, la nebbia calò fittissima e gelida. Per tutta la durata del viaggio nessuno riuscì a capire se il Piccolo Eroe fosse ancora in vita né il fatto di vederlo immobile al suo posto poteva indurre più di tanto all’ ottimismo. Fu solo dopo l’ arrivo nel Cortile Montecuccoli che diversi volonterosi riuscirono a sfilarne il corpo irrigidito attraverso il pertugio dell’ ACM con difficili manovre e fu unicamente grazie al calore (mai vocabolo fu più appropriato) della loro amicizia che egli potè essere finalmente restituito al clima temperato locale.

 

ultimo aggiornamento:12/03/2008 17.08 by PdeW