La prima licenza (Natale 1967)
L’ impeccabile uniforme storica indossata
con giusto orgoglio, lo spadino (con il muso del leone in giù!)
ondeggiante al fianco, il chepì calzato (’’QUELLA VISIERA, VUOLE
APPOGGIARLA DIRETTAMENTE SUL MENTO?... NON VORRA’ ESSERE PUNITO
PROPRIO OGGI?’’), la valigia marrone M1/A1 spolverata a dovere e
con il nome ben scritto sull’ etichetta (fra centinaia uguali,
chi avrebbe mai ritrovata la propria?), il trasferimento alla
stazione (’’off limits’’ dal giorno dell’ afflusso, fatte salve
le clandestine e rocambolesche scappatelle compiute con il cuore
in gola da qualche ardimentoso sopraffatto dall’ irresistibile
richiamo di ’’lei’’), l’ eccitazione per l’ eccezionalità della
circostanza, l’ imminente partenza ed il sospirato ritorno verso
persone, luoghi, abitudini e cose abituali fino a pochi mesi
prima ma già scivolati nel passato.
Allievi suddivisi per treni in partenza,
poi i primi distacchi nelle stazioni di coincidenza e così via,
per poche o tante ore, ognuno verso la propria destinazione.
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Un sottile impaccio per il sottoscarpa
antagonista delle bretelle (di nuovo, la Fisica!), per il
colletto rigido, per la giubba serrata dalla lunga fila di
bottoni, per gli occasionali compagni di viaggio che incuriositi
guardano di sottecchi, per il garbo delle loro domande ed il
pudore nelle nostre risposte. Ben più forte, la ridda concitata
delle sensazioni liete mentre le mani giocherellano
distrattamente con lo spadino posato sulle ginocchia e le
stazioni si susseguono fino all’ arrivo.
Familiari, amici e persone care emozionati
nell’ attesa e increduli per non poter più, tutt’ a un tratto,
manifestare il loro affetto con le effusioni praticate da tutti
i comuni mortali naturali (’’Sono in uniforme, ci abbracciamo
dopo’’). Mille domande e curiosità, un misto di malcelata
fierezza e di lieve apprensione nel viso dei familiari, la casa,
la tavola particolarmente curata e poi la puntata di dovere dai
Carabinieri per la registrazione della licenza.
La Messa di mezzanotte (in uniforme, e che
schiocchi di tacchi nei momenti più solenni!), gli auguri
scambiati sul sagrato con i conoscenti ritrovati ed un sorriso
agli estranei che comunque osservano e si chiedono chi sia mai
quel ragazzo con quella strana divisa blu. Giornate
piacevolissime ma anche velate dalla sensazione di una
definitiva diversità appena agli inizi.
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Infine, il ritorno: la facciata solenne
del Palazzo, lo scaramantico naso levigato del leone, il Cortile
d’ Onore in penombra, la sequela di corridoi e scale (ma sono
sempre stati così lunghi?), gli abbracci in camerata fra i
colleghi rientrati, i racconti frettolosi, le speciali
confidenze agli amici del cuore, uno sguardo sofferto all’
orario del giorno dopo, l’ uniforme storica ben riposta nell’
armadietto mentre quella di servizio, riemersa e debitamente
piegata ’’a cubo’’ sul tavolino, improvvisamente appare foriera
di un futuro quasi indefinito. |
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