La partenza del crociato.

 

L’ anno scolastico 1856-57 stava per iniziare ed uno studente ginnasiale di Tirano era ancora alle prese con un componimento in versi sul tema delle crociate che gli era stato assegnato come compito per le vacanze e che, stante la poca versatilità poetica del meschino, nonostante un’ intera estate di sforzi non era andato oltre la prima quartina.

 

La madre dello studente pensò allora di chiedere aiuto a Giovanni Visconti Venosta, giovane universitario originario di quelle parti e lì in vacanza. Egli accettò di buon grado, completò la poesia di getto e l’ indomani mattina la diede alla buona donna ed al figlio che, al settimo cielo, non credevano ai loro occhi.

 

Riferendo l’ episodio nei suoi ’’Ricordi di gioventù’’, l’ autore narra che alla ripresa scolastica lo studente consegnò felice il componimento. Per quanto se ne sa, il professore non ci fece caso più di tanto ma la poesiola - verosimilmente destinata al polveroso archivio di un ginnasio - cominciò invece un lungo ed

imprevedibile cammino diventando una delle operette minori più popolari della letteratura italiana.

Basti dire che qualche anno dopo, nel corso del suo esame di laurea all’ Università di Pavia, Giovanni Visconti Venosta osservò i professori parlottare fra loro ridacchiando finché uno di essi non lo fissò con divertita curiosità ed iniziò a citare a memoria il poemetto. Se anche l’ ironia ha diritto ad un po’ di spazio e pur nella certezza che la vicenda del crociato Anselmo non abbia alcun tratto in comune con le avventure degli allievi del 24° corso, se ne riporta il testo per le metafore che ciascuno potrà eventualmente individuare.

 

La partenza del Crociato (La Romanza del Prode Anselmo)

’’Passa un giorno, passa l'altro
mai non torna il prode Anselmo,
perchè egli era molto scaltro
andò in guerra e mise l'elmo...

Mise l'elmo sulla testa
per non farsi troppo mal
e partì la lancia in resta
a cavallo d'un caval.

La sua bella che abbracciollo
gli die’ un bacio e disse: "va!"
e poneagli ad armacollo
la fiaschetta del mistrà.

Poi donatogli un anello
sacro pegno di sua fe',
gli metteva nel fardello
fin le pezze per i piè.

Fu alle nove di mattina
che l'Anselmo uscia bel, bel,
per andare in Palestina
a conquidere l'Avel.

Né per vie ferrate andava
come in oggi col vapor,
a quei tempi si ferrava
non la via ma il viaggiator.

La cravatta in fer battuto
e in ottone avea il gilè,
ei viaggiava, è ver, seduto
ma il cavallo andava a piè.

Da quel dì non fe' che andare,
andar sempre, andare, andar...
quando a pie' d'un casolare
vide un lago, ed era il mar!

Sospettollo... e impensierito
saviamente si fermò.
Poi chinossi, e con un dito
a buon conto l'assaggiò.

Come fu sul bastimento,
ben gli venne il mal di mar
ma l'Anselmo in un momento
mise fuori il desinar.

Il Sultano in tal frangente
mandò il palo ad aguzzar,
ma l'Anselmo previdente
fin le brache avea d'acciar.

Pipe, sciabole, tappeti,
mezze lune, jatagan,
odalische, minareti,
già imballati avea il Sultan.

Quando presso ai Salamini
sete ria incominciò,
e l'Anselmo coi più fini
prese l'elmo, e a bere andò.

Ma nell'elmo, il crederete ?
c'era in fondo un forellin
e in tre dì morì di sete
senza accorgersi il tapin.

Passa un giorno, passa l'altro,
mai non torna il guerrier,
perch'gli era molto scaltro
andò in guerra col cimier.

Col cimiero sulla testa,
ma nel fondo non guardò
e così gli avvenne questa
che mai più non ritornò.’’

ultimo aggiornamento:13/03/2008 15.03 by PdeW