La Favola Bella.

 

Sembrando che fosse trascorso più veloce del primo anno, dopo gli esami ed il campo si concluse anche il secondo. Iniziava la vacanza (una delle più lunghe di tutto il periodo in uniforme), si spalancava l’ orizzonte sulla più ampia libertà e maggiore responsabilità del biennio di applicazione, ci si chiedeva se l’ aspirazione all’ Arma prediletta sarebbe stata soddisfatta, si aspettava il voluminoso corredo che la sartoria scelta pochi mesi prima avrebbe consegnato durante l’ estate, si organizzava la sistemazione a Torino. Soprattutto si compiva un altro passo importante verso la professione, seppure più istituzionale che effettivo; lo stato di Ufficiale Allievo non era ancora quello di Ufficiale (e basta) ma suonava sempre meglio dell’ inverso.

’’Finalmente” era, senz’ altro, la sintesi delle emozioni che ognuno provava. Ormai libera dalle tribolazioni e dalle angustie delle vita d’ Accademia, la mente iniziava a congetturare il futuro. Le immagini degli Ufficiali istruttori e d’ inquadramento più prestigiosi conosciuti nei due anni si amalgamavano componendo un modello al quale istintivamente ci sentivamo di tendere; di altri, che avremmo preferito non aver incontrato mai, conservavamo il ricordo dei tratti negativi con il fermo proposito di non emularli.

La soddisfazione del traguardo raggiunto e l’ energia giovanile favorivano l’ entusiasmo e la tensione verso il Progetto.

Ognuno di noi si sentiva - a giusta ragione - molto diverso dal ragazzo che solo due anni prima aveva iniziato la propria avventura. Si trattava della stessa differenza che, con una certa sorpresa, avevamo potuto percepire nelle rare occasioni di incontro con i nostri vecchi compagni di scuola. Differenza nella maturità, nel senso di responsabilità, nell’ assimilazione della disciplina e nella pacatezza del comportamento, irreversibilmente destinati ad accompagnarci nel cammino verso la dimensione adulta e l’ impegno della professione.  

Per oltre 700 giorni avevamo frequentato l’ Accademia Militare e, quanto fossimo cresciuti, potevamo scoprirlo ancora meglio osservando gli amici dell’ adolescenza che tutt’ al più ne avevano solo sentito parlare. E ne è prova ancora oggi il fatto che perfino chi di noi sia uscito dai ranghi dopo quel solo biennio ne porta ben visibile l’ impronta e se ne vanta a giusta ragione.

La modestia ed il pudore ci impedivano di prefigurarci molto in alto nella gerarchia ma ci sentivamo già adatti ad operare in una compagine che, pur con tutti difetti dei consorzi umani, era connotata dai privilegi del dovere e dell’ altruismo, della

disponibilità al sacrificio e della fedeltà, dell’ autonomia di pensiero in un contesto spirituale spesso coeso ma talvolta anche conflittuale e del voto del tutto speciale che avevamo liberamente assunto con la sacralità del giuramento.

Questa era, allora, la nostra Favola Bella.

Per alcuni le cose sono andate proprio così. Altri, avendo avuto vita meno facile, hanno dovuto sudare sette camicie per riuscire a riscuotere il giusto rispetto per sé ed il proprio operato. Altri ancora, in diversa misura, hanno avuto la sfortuna (o fortuna, lo sanno soltanto essi stessi) di scoprire una realtà tutt’ altro che rosea, di scontrarsi contro ostilità apparentemente ingiustificate, di soffrire per discriminazioni non facilmente comprensibili, di imbattersi in colpi della sorte che li hanno colpiti talvolta fino a tramortirli.  

Così come siamo fieri che dal nostro corso siano emersi colleghi di altissimo livello e giustamente destinati ad ancora più brillanti affermazioni nel pur breve periodo di servizio residuo, siamo orgogliosi di poterci identificare tutti fra noi, ciascuno in ogni altro e qualunque sia stato

il percorso in carriera di ognuno, grazie all’ amicizia, alla confidenza ed alla complicità che resistono cristalline dopo quarant’ anni.

E questa è, oggi e per tutto il tempo che ci sarà dato, la nostra Favola ancora più Bella.

ultimo aggiornamento:15/03/2008 18.09 by PdeW