L’ infermeria

 

Le due formazioni si fronteggiavano.

 

Da un lato, diverse persone in camice bianco maneggiavano con studiata lentezza enormi pennelli intrisi di tintura di iodio e siringhe grandi - se la memoria non inganna - come pompe da bicicletta. Il loro ghigno cinico rivelava senza dubbio la superiorità che la situazione conferiva loro e lasciava intuire che essi, palesemente avvezzi a quel gioco da tempo immemorabile, per nulla al mondo si sarebbero lasciati sfuggire quella ulteriore occasione.

 

Dall’ altro lato, un gruppo di aspiranti-allievi a torso nudo, stretti l’ uno all’ altro. Perfettamente allineati si guardavano intorno con mal dissimulata preoccupazione, ben consapevoli che ogni via di fuga era loro preclusa anche per la presenza attenta del Comandante di Plotone che approfittava di quella occasione prelibata per meglio conoscere i suoi rampolli. Questi, presi fra due fuochi, cercavano (senza però dimostrarsi molto convincenti), di ostentare un misto di sicumera e stoicismo ed alcuni furono addirittura osservati mormorare giaculatorie a fior di labbra.

 

Di lì a poco, l’ offensiva si scatenò. I pennellatori sfilarono rapidi ed efficienti davanti alla fila inerme degli aspiranti, cospargendo il loro petto con una generosa dose di tintura maleodorante. Altri Camici-Bianchi, subito di seguito, piantavano aghi al centro della chiazza marrone ed iniettavano un liquido denso e misterioso. Gli aspiranti, rassegnati, stringevano i denti e speravano che quel momento passasse in fretta, certi che nella vita c’è di peggio ed anche confortati dall’ idea che, comunque, l’ essere esentati da corse ed altro per tre giorni sarebbe stato un compenso più che congruo. Non mancarono momenti di colore: per esempio, un certo aspirante si mise a correre terrorizzato per ogni dove e dovette essere prima inseguito, poi agguantato ed infine immobilizzato per essere quindi sottoposto al trattamento nonostante strillasse come un’ aquila ed alla fine perdesse i sensi.

Questo, comunque, fu il primo contatto degli allievi con l’ Infermeria dell’ Accademia e l’ evento - la famosa prima vaccinazione TABTe - ne costituì l’ imprinting. Già dopo poche ore il petto si gonfiò e cominciò a far male al punto che perfino trovare una posizione indolore a letto non fu facile. Inoltre, dato che la mamma dei Geni è sempre incinta, avvenne anche che qualche anziano persuaso della sua insostituibilità nell’ aiutare gli aspiranti a crescere rapidamente si divertisse a fermare qualche ’’pettoruto’’ aggiungendo alle solite interminabili seccature anche diversi simpatici colpetti sul loro torace.

Presto si scoprì che l’ Infermeria era tutt’ altro che un mera officina di sevizie. Luogo quasi tropicale in alternativa al gelo delle camerate, poteva spalancare le sue porte ai miseri che, realmente malati o recitando spudoratamente, riuscissero ad impietosire l’ implacabile Dirigente (’’Nomina sunt numina’’: era il Ten.Col. me. Sisinnio Porcu) dichiarando di trovarsi sull’ orlo della fossa ed aspirando solo a passare a miglior vita con un po’ di conforto. Inoltre, in prossimità di un interrogatorio o di un elaborato particolarmente temibili, l’ Infermeria costituiva l’ unico paradiso in cui cercare rifugio pur con la consapevolezza che la cosa puzzava da lontano e che le conseguenze si sarebbero abbattute, molto presto e senza pietà, su chi aveva osato ciurlare nel manico.

 

I più sagaci capirono poi che, soprattutto quando non potevano aspirare a svagarsi con un permesso di fine-settimana o addirittura non riuscivano ad andare in libera uscita, ancora una volta era solo l’ Infermeria che poteva soccorrerli. Bastava che lamentassero un forte bruciore agli occhi (del tutto credibile grazie agli infiniti tubi al neon che illuminavano la giornata accademica) o qualche altro fastidio al di fuori delle possibilità diagnostiche interne e l’ invio all’ Ospedale Militare di Bologna per una visita era quasi automatico. Chi lo ha provato ricorda quanto radiosa apparisse Modena anche nelle più tetre giornate di nebbia quando ci si incamminava alla volta della stazione ferroviaria, verso una vera vacanza seppure di poche ore. La cronaca riferisce anche di qualcuno che, avendo precedente familiarità con la città di Bologna ed alcune sue abitanti, metteva particolarmente a frutto queste legittime evasioni e rimpiangeva solo il fatto che gli occhiali non potessero essere cambiati ogni settimana.

 

 

ultimo aggiornamento:13/03/2008 12.56 by PdeW