L’ incursione

 

Radicata nelle più antiche tradizioni dell’ Accademia e, per questo, considerata un episodio quasi ufficiale del processo formativo (comunque, rito iniziatico dal significato profondo tant’ è che - si dice - perfino Giovanni Topone, ad evento compiuto, fu visto sorridere), l’ incursione era uno degli argomenti più misteriosi su cui fin dai primi giorni di vita da Cappellone circolassero voci. Qualcuno diceva di aver ricevuto confidenze da un Anziano che conosceva già da prima, qualcun altro riferiva i racconti di un Ufficiale incontrato per caso in treno, altri ancora interpellavano i famigli della compagnia (veri depositari delle memorie ed unici accreditati di attendibilità ed autorevolezza) ma l’ immaginazione non riusciva a proiettarsi oltre un fosco quadro di tregenda, furore, sparizione di tutti i (pochi) propri averi e volo di materassi, a stormi, giù dalle finestre.

 

Come capita sempre quando le notizie si diffondono con il tam-tam (senza che, però, si riesca mai ad identificare il primo suonatore), ogni tanto il solito allievo bene informato affermava di aver saputo per certo che ’’quella sarebbe stata la notte’’. Pur permanendo il dubbio, le misure difensive del caso si predisponevano comunque: pianificare i turni di chi sarebbe dovuto rimanere sveglio per cogliere il più lieve scalpiccio sul corridoio (ma il sonno dopo una giornata di fatica sopraffaceva anche le volontà più tenaci), scrutare il comportamento ed origliare il parlottio dei Qualificati della compagnia prima del silenzio rischiando di pompare all’ infinito per aver osato spiare i Divinissimi, osservare gli anziani in ogni possibile momento della giornata per carpire un barlume del segreto.

Ed, ogni volta, nulla finché - come capita a forza di gridare al lupo - la notte fatale giunse cogliendo tutti di sorpresa. Il risveglio di soprassalto sotto l’ impeto di una torma urlante (peraltro, impeccabile nella perfetta uniforme prevista per l’ occasione: pantaloni della tuta da ginnastica, maglione da scherma e scarpe ginniche) che irrompeva urlando a squarciagola, ribaltando tutto quello e quelli che incontrava sul suo cammino e spargendo dovunque polvere di estintori non è facile da dimenticare. Prima ancora di capire cosa stesse succedendo era quasi tutto finito: la torma, uscendo dalle camerate altrettanto impetuosamente, era

scomparsa con la velocità della luce lasciando dietro di sé il subbuglio di un terremoto.

L’ occasione, in verità, si era prestata anche a regolare qualche conticino fra gli anziani incursori e certi Qualificati d’ inquadramento non esattamente simpatici ai loro compagni di corso. Aleggia la leggenda di uno, in particolare, rimasto accoccolato a lungo sul pavimento presso le macerie del proprio letto, bofonchiante e stralunato come Mastro Geppetto dopo aver ricevuto il calcio dal travicello che divenne poi il burattino più famoso del mondo. Un’ altra leggenda vuole che, compiuta l’ opera, un brillantissimo Scelto (assurto poi giustamente ai piani alti della gerarchia) se ne tornasse di corsa assieme ad altri masnadieri verso la sua camerata. Incontrato il Comandante di Reggimento sullo scalone d’ onore, non si chiese come mai egli fosse lì rasato e vestito di tutto punto nel cuore della notte (di ’’quella’’ notte!) ma si fermò di botto, lo salutò dopo aver assunto una perfetta posizione di attenti ed annunciò: ’’Signor Colonnello, è in atto l’ incursione’’. E l’ Alto Interlocutore, grato per la preziosa informazione, rispose con un saluto altrettanto marziale e replicò: ’’Grazie, ne ero al corrente. Comunque, stia punito anche lei’’.

I corollari della gloriosa operazione furono due: il primo, la corsa affannosa del Capocorso degli Anziani che, pur intralciato dalle coperte sottobraccio, dalle scarpe senza lacci e dai pantaloni senza cintura, come ’’da libretta’’ si avviava dignitosamente ed autonomamente verso la porticina delle celle. In merito al secondo corollario, va reso onore alla formidabile noncuranza diplomatica che tutti gli Ufficiali di servizio seppero ostentare all’ adunata del mattino successivo. Infatti solo allora esplose alla vista il Gran Pavese di camicie che pendevano garrule dalla torre dell’ orologio

verso la balconata del loggiato, grazie all’ opera paziente del gruppetto di anziani che le aveva sottratte prima dell’ apertura delle ostilità dai cubi dei cappelloni nel pieno del loro ignaro sonno per annodarle poi manica per manica.